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23.01.2017

We would like to present you an interview with the director Konstantin Lopushansky published in the Italian online magazine “Dark Mirror”.

L’opera del cineasta Konstantin Lopushansky abbonda di immagini apocalittiche; visioni folgoranti provenienti da un mondo in rovina. L’essere umano, autentico protagonista delle sue pellicole, è scaraventato in possibili e desolanti futuri: luoghi immaginari che altro non sono se non inquietanti rappresentazioni di una ipotetica fine della specie. 

D’altronde, quelli di Lopushansky sono veri e propri universi distopici plasmati cinematograficamente attraverso uno stile unico, fatto di colori accesi, di immagini anamorfiche, di landscape metafisici. L’elemento fantascientifico, che pure definisce la maggior parte della produzione di Lopushansky, è infatti da considerarsi quale ideale involucro per un discorso più complesso. Tutti i film del regista ucraino sono, in primis, opere filosofiche che indagano sulla condizione umana attraverso una prospettiva che potremmo definire universale. L’uomo, come mostra lucidamente il suo primo lungomentraggio, Quell’ultimo giorno – Lettere di un uomo morto[Pisma myortvogo cheloveka, 1986], è messo davanti alle proprie colpe, ai propri sbagli, divenendo l’osservatore di quel disfacimento di cui egli stesso è stato l’artefice. Lopushansky attua quindi un processo di astrazione cinematografica che, non disprezzando incursioni di «genere», trova le sue ideali radici nel cinema del maestro Andrej Tarkovskij, autore del quale, com’è noto, egli fu allievo.
Kostantin Sergeevič Lopushansky nasce il 12 giugno del 1942 a Dnipro, in Ucraina. Laureatosi al conservatorio, inizia a frequentare corsi di cinematografia e si diploma con il cortometraggio Solo [id., 1980], austera opera in bianco e nero su di un gruppo di musicisti, superstiti in un innevato mondo post-apocalittico. Si tratta di un’opera aurorale, ricca di suggestioni che ritroveremo nelle sue produzioni future. D’altronde, una indiscutibile coerenza unisce i sei lungometraggi che costituiranno la sua opera successiva. Se film quali il già citato Quell’ultimo giorno – Lettere di un uomo mortoIl visitatore del museo [Posetitel muzeya, 1989] e The Ugly Swans [Gadkie Iebedi, 2006] rappresentano l’ipotetico nucleo “forte” della sua produzione più propriamente fantascientifica, Russian Symphony [Russkaya simfoniya, 1994], The Turn of the Century [Konets veka, 2001] e The Role [Rol, 2013] proiettano le medesime inquietudini nel mondo russo, contemporaneo e non.
Il cinema di Lopushansky si interessa a tutti gli aspetti che caratterizzano la genesi artistica, dalla direzione degli attori – che in The Role raggiunge vere vette di virtuosismo – all’estrema cura per le scenografie e la fotografia. Un cinema che riflette sulle possibilità espressive del mezzo senza abbandonarsi a facili seduzioni estetiche; dunque, idealmente vicino alle opere di due altri grandi maestri del cinema post-sovietico quali il recentemente scomparso Aleksei German e, soprattutto, Aleksandr Sokurov. In Italia, l’opera di Lopushansky, pur nella sua indiscutibile carica visionaria, è ancora poco conosciuta. È allora forse proprio attraverso le parole di questo straordinario regista che vogliamo tentare di proporre un approccio ad un cinema tanto importante quanto ancora poco celebrato come è quello di Konstantin Lopushansky.

Voglio ringraziare Alessia Contri per la traduzione dal russo dell’intevista; Lorenzo Baldassari per la traduzione in inglese delle domande; Margherita Palazzo per il materiale iconografico. Un doveroso ringraziamento va a Anna Zinovieva e tutto lo staff della Proline Film Company, senza i quali questa intervista non sarebbe stata possibile. E naturalmente a Konstantin Lopushansky per il tempo dedicato, nonché, ovviamente, per il suo cinema.

Nota: l’intervista si è svolta a voce, in lingua russa. La traduzione è stata perciò effettuata da una trascrizione della stessa. Dove ritenuto opportuno, si sono aggiunte parole o note per facilitare al lettore la comprensione del testo. Questo, sempre cercando di mantenere inalterato il senso delle parole del regista.

 

INTERVISTA A KONSTANTIN LOPUSHANSKY
A cura di Nicolò Vigna. Traduzione di Alessia Contri. 

 

Signor Lopushansky, come prima domanda forse risulterà un po’ banale ma volevo chiederle cosa l’ha spinta ad avvicinarsi al cinema. Ho letto che inizialmente ha studiato musica, e successivamente ha compiuto degli studi specificatamente cinematografici…

Be’, sapete, è sempre molto difficile rispondere alla domanda: “Perché sei diventato o perché hai deciso di diventare un regista?”. Una volta, quando ero a Cannes con il film Lettere da un uomo morto – Quell’ultimo giorno, (è stato il film del mio debutto nel 1987), «Libération» realizzò un’interessante intervista, non solo per me, ma per tutti i registi che partecipavano al Festival. La domanda era: “Perché avete deciso di diventare regista?”. Ricordo di aver risposto in maniera inaspettata non solo per loro ma anche per me stesso. Risposi: “Come fate a pensare che una lumaca ragioni quando sale lungo il pendio del monte Fuji? [Qui Lopushansky probabilmente si riferisce a un celebre haiku – breve componimento poetico – dello scrittore e pittore Issa Kobayashi. NdR.] se pensa mai che la cima è lontana, che il percorso sarà tortuoso… E in generale, perché si trova sul lato di una montagna? perché si sforza per raggiungere la cima? …La risposta a queste domande è che non vi è una risposta alla domanda “Perché vuoi far successo nel mondo della creatività e dell’arte? Perché vuoi essere un regista? per apportare qualcosa di nuovo?”. La risposta è un mistero e penso che sia giusto così, anche se sono passati molti anni da allora…
Sovente mi fanno ancora questa domanda e io rispondo che non conosco la risposta. Perché ho chiuso con la musica è comprensibile… La musica è stata parte della mia vita, ma sapevo che, per così dire, mi sentivo “stretto” in quel genere, così mi sono avvicinato alla letteratura, alla poesia, a circoli letterari di ogni sorta. Poi ho studiato regia teatrale perché la sentivo più vicina alle mie intenzioni, e infine ho capito che dovevo passare al cinema.
È stato un percorso del tutto naturale… Ma perché proprio il cinema? Probabilmente è la forma d’arte più coerente con quella che è la mia idea [artistica], la più ricca e la più interessante. È, in primo luogo, una possibilità di scrivere: sono sempre stato lo sceneggiatore dei miei film e di solito penso ai miei lavori letterari in forma di dramma. Sono diventato un regista, realizzandomi prima nella scrittura… È il principio di paternità di un’opera, l’attribuzione totale che è spesso presente in un film, che mi ha portato probabilmente a questa professione a scapito delle altre, che, comunque, non erano meno interessanti… ma forse questa è la cosa importante. Questo è ciò che mi sento di dire a riguardo.

 

Ho letto che lei è stato assistente di Andrej Tarkovskij durante la lavorazione del capolavoroStalker. Che ricordo ha di quel periodo? Si trattò di un’esperienza importante? Molti hanno affiancato la sua opera a quella di Tarkovskij, soprattutto sul piano stilistico. Come si rapporta con l’opera del suo maestro?

A dire il vero, ero uno studente-stagista. Il fatto è che, allora, studiavo a Mosca ai corsi superiori per sceneggiatori e registi. Si trattava di un’importante istituzione che, a differenza del VGIK [Università statale russa di cinematografia, NdR.], non era più sotto censura. Eravamo alla fine degli anni Settanta… Potevamo guardare liberamente al mondo del cinema. Tarkovskij insegnava regia… c’erano lezioni sul cinema… c’era anche Končalovskij, e tra gli altri maestri c’erano Panfilov, Loteanu, poi Želakjavičjus, Mitta, Nikita Michalkov. Questo per dire che era un centro d’arte cinematografica veramente unico per quei tempi.
Come è nato tutto questo e perché? Be’, c’erano tante cose in quel periodo. Tarkovskij teneva conferenze sul cinema, così ho avuto l’opportunità di fare la sua conoscenza… diversi studenti lo hanno accompagnato a casa, me compreso. Probabilmente si rivolgeva a me con attenzione durante queste conversazioni. E dopo poco gli chiesi di fare pratica durante le riprese di Stalker. Così il maestro mi portò sul set… Detto questo, ero più che altro un assistente, uno stagista. Questo era l’oggetto del mio praticantato durante le riprese del film… mi dava alcuni compiti operativi come regista e, una volta terminati, li analizzava in modo tale da fare una critica costruttiva… parlarne, e così via…
È stato importante per me? Sì, in generale, direi, fondamentale. Ogni artista ha un incontro di questo tipo con qualche grande maestro della generazione precedente, nel corso del quale diventa una sorta di “maestro spirituale”… colui che lo conduce all’arte… È stato sempre così in pittura e in musica, nel corso dei secoli. E così, naturalmente, avviene anche nel cinema. Tarkovskij stesso disse, per esempio, che, per lui, per il cinema in Russia, Dovženko era “la base”, così come è chiaro che, fra i registi esteri, fosse Bresson, che ammirava follemente. E Bergman, naturalmente. E poi anche Antonioni… Nulla viene dal nulla. I critici, molto ingenuamente, vedendo una certa tendenza, dicevano: “Oh, è l’erede di Tarkovskij.” E di Tarkovskij stesso si è sempre detto: “Oh, questo è Bergman, è Bergman, è un erede di Bergman… o di Antonioni.” Si tratta di un approccio molto ingenuo perché non solo chi era iscritto ai corsi di Tarkovskij ne ha subito l’influenza… per esempio Lars von Trier ne è stato fortemente influenzato… e anch’io e Sokurov o altri… Molti di noi! Il maestro ti dava una spinta… aveva un profondo impatto spirituale e professionale su di noi durante il praticantato di regia, e anche quando, dopo, si usciva con lui, in un certo senso “ti guidava”. Eppure, l’obiettivo di ogni artista è di forgiare un proprio stile, forse non perdendo di vista la tradizione di un certo modo di fare o di un certo maestro… Non so… Spero di esserci riuscito. E, francamente, mi sembra sia così.

lopushansky-1Stalker di Andrej Tarkovski.

Ricordo bene quando sono venuto a Cannes con il mio film d’esordio Lettere di un uomo morto, e solo lì, durante la prima conferenza stampa, ho sentito qualcuno dire: “È stato assistente di Tarkovskij?” Tutte le seguenti comunicazioni con la stampa erano basate soltanto su questo soggetto. Sono molto felice di questo, per me è un grande onore, ma voglio far notare che Tarkovskij stesso, sapendo bene di aver aiutato me, Sokurov e anche altri registi, disse: “Io non ho discepoli”. E lo disse deliberatamente, non per proteggerci – anche perché, all’epoca, essere legati a Tarkovskij non era un complimento per le autorità che finanziavano il cinema, ma il contrario!
Con lui vi era [poi] una comunicazione individuale, un aiuto privato, non teneva solo lezioni. Ero andato da lui alla fine del corso nel mio secondo anno di studio per consultare tutte le sue opere… Ho avuto due maestri: Loteanu, in maniera diretta durante il laboratorio in cui insegnava, e poi Andrej Tarkovskij, che ho portato a casa, a cui ho mostrato i miei lavori, ho chiesto consiglio… passeggiava sempre con il cane e noi eravamo lì per discutere di varie questioni. Pertanto, se si parla dell’impatto che ha avuto, è stato grande. Non solo per me… dovrei dire per l’intero mondo cinematografico. Ecco, immaginate come se accanto a noi fosse passato un enorme pianeta… tipo Giove… Naturalmente era inevitabile che influenzasse il mondo del cinema, oltre che chiaramente noi, giovani registi. Ma poi ho portato il mio [modo di] far cinema da un’altra parte… e inoltre, a dirla sinceramente, provate a immaginare Tarkovskij dentro al sistema-cinema che è assolutamente e largamente standardizzato, in gran parte industriale? Be’, è semplicemente impossibile! È proprio il contrario.

 

Lei si è diplomato, in violino, al Conservatorio di Kazan. In uno dei suoi primi lavori, il cortometraggio Solo, si racconta di un’orchestra di “sopravvissuti” in una città semi-deserta coperta dalla neve che si riunisce per suonare. Quanto è stata importante questo tipo di formazione – musicale – nel suo lavoro?

Per quanto riguarda il Conservatorio, sì, ho studiato in quello di Kazan’, poi al Conservatorio di Leningrado, proprio come corso di studi superiori. Naturalmente la musica per me significa molto e sapevo bene che l’orchestra e le tematiche musicali mi sarebbero rimaste profondamente a cuore. Ma c’è probabilmente di più.
Iniziò [infatti] il mio periodo pietroburghese molto attivo nella scuola di specializzazione, e mi interessai al tema del “Blocco” [Qui Lopushansky si riferisce al cosiddetto «Blocco orientale». NdR] e a tutte le storie associate a quel periodo, cercando di leggere il più possibile letteratura riguardante quel tema; di come era avvenuto e maturato. Di tutte le storie che mi hanno emozionato, relative al Blocco, ho iniziato a cristallizzare la storia associata all’orchestra che, nel 1942, eseguì Šostakovič… Questa è stata, fra le altre cose, un’azione statale per poter dimostrare che la città era viva, che l’arte era viva… E una tale azione richiedeva un grande sforzo per essere diretta e avere luogo. Fino ad allora, come ho scoperto, c’era stata solo un’altra orchestra, l’Orchestra Comitato Radio, che fu in attività nell’autunno e inverno del ’41… l’anno peggiore, perché quasi tutti i musicisti erano scomparsi. Ebbene, il destino dell’orchestra era chiaramente quello di fare concerti laggiù, qualche giorno, quasi ogni sera, per gli alleati dell’Inghilterra. Naturalmente, spesso si eseguiva Čajkovskij… Ed ecco, nella Quinta Sinfonia, questa musica incredibile… E lì, come ben sappiamo, il corno solista… che suonava, per così dire, di vita propria… Ciò ha costruito la base della storia.

lopushansky-2Solo.

Per me si tratta di un lavoro molto caro. Innanzitutto, questo è stato il [mio] primo lavoro sofferto e maturo. E come se fossi durante l’assedio, mi sono in qualche modo “aperto” molto con me stesso… Inoltre, sono molto orgoglioso del fatto che Daniil Granin [Daniil Aleksandrovič Granin, ingeniere e storico che «dedicò un’importante opera all’assedio di Leningrado», NdR.], il nostro straordinario scrittore – uno dei migliori autori del Blocco, l’autore dei più celebri testi sul tema… lo ha scritto con Adamovi – quando ha guardato questo film, ha detto che era il miglior film sul Blocco. Per me, giovane regista del suo tempo, si trattava di un enorme complimento ricevere queste parole per un breve film realizzato per il diploma, da un maestro che aveva vissuto il Blocco e sapeva…
Questa ricerca del documentario… della precisione… forse, è proprio su questo che è definito il mio primo lavoro, e ciò è stato molto importante. La cosa divertente è che il film, in seguito, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, fra questi uno a Bilbao, in Spagna… il primo premio! Ma non mi mandarono lì, naturalmente: era consuetudine per un giovane regista di non presenziare. Ci andò il poeta Robert Roždestvenskij, come rappresentante dell’Unione Sovietica. Scrisse poi un articolo su qualche giornale, dove, forse involontariamente, parlò davvero bene del mio film… mi fece un complimento fantastico… diceva che il lavoro documentaristico di un giovane regista lo aveva semplicemente sconvolto e così via… anche se lui lo definì “documentaristico”, mentre si trattava di un film di finzione.
Il ruolo principale è stato interpretato dal meraviglioso attore Galenko, un gigante, che ho incontrato qui da noi. Questa è la storia di un film a me molto caro e che Andrej Tarkovskij apprezzò molto.

 

In questa sua opera degli esordi, Solo, mi pare che si possano scorgere già degli elementi che ritroveremo nei suoi film successivi… Un mondo devastato, costituito da sopravvissuti e di oggetti “abbandonati” privi di un vero e proprio ruolo… Erano già dunque questi i temi che le interessavano?

Ecco ciò che collega Solo ad altri [miei] lavori… è [questa] la definizione. Direi che i critici sono sempre molto accurati con tutto ciò che vedono. Mi chiamano “Il regista incline a temi apocalittici”. L’Apocalisse mi attirava, sì. In particolar modo in Solo e poi Lettere di un uomo morto si trattava di una guerra nucleare… e poi ancora ne Il visitatore del museo Il genere può essere definito come «disastro ecologico», un dramma religioso in cui il mondo è già morente. Be’, che dire? Probabilmente sì. Il fatto è che ogni artista sceglie il proprio soggetto, e molti credono che, in generale, i registi “seri”, così come li chiamano, debbano ripetere lo stesso film tutta la vita. Non in forza del fatto che essi si ripetano, ma in virtù di idee complesse… ecco, Dio non voglia, di avere per tutta la vita del tempo di parlare di quest’argomento! Il fatto è che, in generale, nella cultura russa, i temi legati all’Apocalisse sono sempre stati molto importanti. Si possono prendere e ricordare opere filosofiche o scrittori come Berdjaev [Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, NdR.], e tanti altri. In un certo senso, si tratta del segno di una cultura nella quale questi temi sono fortemente percepiti. In varia misura e in virtù della Storia stessa, in Russia, come sapete, l’Apocalisse, almeno temporaneamente, purtroppo si ripete in ogni epoca, di tanto in tanto…
[Penso a] Dmitrij Bykov, il nostro straordinario scrittore… ma lo sapete senza dubbio, è conosciuto in tutto il mondo! Siamo amici da molti anni. Una volta ha scritto un lungo articolo – una prefazione ai miei libri di sceneggiatura –, e lì è riuscito a trascrivere tutti i miei ricordi d’infanzia. Gli dissi di lasciar scivolare in qualche modo la cosa nella conversazione, e ne scrisse con questo proposito, considerandomi un “prodotto” di quell’era di rottura degli anni ’70 e ’80… il che significa che nell’infanzia c’è la Storia…
[La mia infanzia] l’ho passata nella città di Dnepropetrovsk, in Ucraina… là vivevano mia nonna e mio nonno. Io stavo da loro fin da quando ero abbastanza piccolo, poi sono rimasto lì. Accanto alla casa dove vivevamo, c’era un parco. E in questo parco c’era un deposito sotterraneo.. lì conservavano la pellicola. Si trattava di un rifugio antiaereo o qualcosa del genere. Ma un giorno alcuni bambini scesero laggiù. Come spesso accade, stavano giocando con dei fiammiferi e diedero fuoco alla pellicola che, al tempo, sfortunatamente era combustibile, e questa provocò l’esplosione, e il fuoco divampò sopra la città. Tutti capirono com’era successo… Mi ricordo di un bambino alla fermata del tram che si trovava accanto al luogo dove morirono quei bambini… è stata una storia terribile… La gente correva, cadeva a terra… A questo aggiungiamo che nella città di Dnepropetrovsk, una grande città industriale, c’era una famosa fabbrica per la produzione di missili… Tutti i giorni, dove vivevano i miei nonni, alcuni aerei militari volavano molto bassi… eravamo tutti in attesa di uno schianto! Voglio dire che il periodo era così, che i figli di quel tempo sono cresciuti convivendo con questa cosa.

lopushansky-3Lettere di un uomo morto – Quell’ultimo giorno.

Quando uscì Lettere di un uomo morto era il 1986. Fu una distribuzione enorme, grazie alla quale io non solo ho fatto incontri nel mio paese ma in tutto il mondo. Un gran numero di persone venne da me e mi disse: “Sai, anch’io ho fatto sogni sulla guerra nucleare.” Immaginate il livello di follia psicologica che prevalse nella società quasi in tutto il mondo… tutti, qui, avevano paura di questi eventi, di quel sogno spaventoso…
Ecco forse il perché di questa reazione al film. Si tratta di un caso unico: è stato distribuito in quasi tutti i paesi del mondo… È Sovexportfilm che ha venduto il film. Diciamo che nel mio paese è stato visto da 15 milioni di persone, davvero molte! La storia per quel che riguarda questo film è particolare, perché la sua realizzazione richiese molto tempo. Bisognava passare attraverso la censura… è stata una vera e propria epopea!
Le cose cominciarono a cambiare a partire dal 1985, quando Gorbacëv salì al potere. Ci furono sempre più possibilità di realizzare questo film. Quando fu finito, l’autorità Statale per il Cinema si domandò se produrre o no altri film del genere. Gorbacëv disse: “Ecco quello di cui c’è bisogno.” Chiamò l’allora Ministro per il Cinema Ermaš e disse: “Finalmente capite cos’è una ricostruzione di tale portata, Filip Timofeevič. Si è realizzato un film sulla base di nuovi concetti.” Così furono realizzate 2.000 copie, con la première in tutta l’Unione Sovietica e nei paesi vicini. Sono molte, chiaramente.
Ma ecco che si rivelò lo strano destino di questo film. Io stesso mi spostavo per stampare le copie, per controllare tutto il processo…. andavo a Sosnovaja Poljana che si trova vicino a San Pietroburgo, dove c’era la fabbrica che le produceva. E mi ricordo di una mattina che mi dissero: “Kostja, ascolta, alla radio si parla di un incidente nucleare da qualche parte.” Si trattava di Černobyl’. Era il 26 aprile 1986. Ecco che il film si mostrò con tutto il suo fatalismo e la sua mistica, non sembrando un caso…

 

In Italia, le sue opere più celebri sono probabilmente i suoi due primi lungometraggi, Lettere di un uomo morto – Quell’ultimo giorno e Il visitatore del museo. Si tratta di due lavori che configurano in maniera precisa il suo universo tematico e stilistico. Un mondo post-apocalittico che si interroga sulle proprie colpe. Da dove proviene questa visione così tragica dell’umanità?

Ho praticamente già risposto a questa domanda. Il motivo è insito nell’umanità stessa… Nella fine delle fini, ogni artista è una sorta di specchio che riflette i problemi del proprio tempo, su ciò che percepiscono le corde della sua anima, su cosa ferisce l’umanità. Forse, più [egli] è esigente e più facilmente imbocca la strada giusta. Forse perché raccontare delle storie, a volte, è anche ciò di cui la gente ha bisogno. Ma, allo stesso tempo, [l’artista] deve riflettere sul proprio tempo. Tutte le opere “serie” possono sempre essere giudicate nel tempo in cui sono state create. Forse questo è il collegamento…
Ma tuttavia lo ripeto ancora una volta: sono venuto al mondo e ho vissuto quest’epoca, che è stata purtroppo piena di temi e motivi inquietanti. La fine del secolo e la fine del millennio hanno fatto riaffiorare il tema dell’Apocalisse per ovvie ragioni… non è forse così?

 

Pur essendo un film particolarmente cupo, una delle ultime parole pronunciate in Lettere di un uomo morto è «speranza». Poco dopo, dei bambini illuminano l’oscurità con una candela. Ripone quindi, comunque, fiducia in questa umanità?

Vedete, non è possibile fare arte e non avere fede nell’umanità. L’umanità, da un lato, ha fatto di tutto non solo per non far credere in sé, ma anche per far parlar di sé molto bruscamente. È quello che ho fatto nel film The Ugly Swans grazie ai fratelli Strugackij [Arkadij e Boris Strugackij, scrittori di fantascienza, autori, tra gli altri, diPicnic sul ciglio della strada, da cui è stato tratto Stalker, e È difficile essere un Dio, trasposto in tempi recenti da Aleksei German. NdR.], che amavano molto parlare dell’umanità, ma con asprezza. Ma interrogarsi su ciò che è l’uomo dà in un certo senso della speranza… esiste una formula, e mi sembrava più adatta per il finale…

lopushansky-4Finale di Lettere di un uomo morto.

Si tratta di una immagine molto poetica, quella del finale… Ma non c’è una risposta in questo film, anche se, lo ripeto, c’è sempre una speranza, soprattutto fino a quando una persona ha fede e ha la forza di andare avanti… È piuttosto un appello alla sala. So che a questo punto del film è normale che, in ogni spettatore, affiorino un turbinio di emozioni, di lacrime dagli occhi, un’inspiegabile empatia e comprensione… Questo è l’impulso che il nostro Tarkovskij ha trasmesso nelle lezioni che teneva: ha detto che lo scopo dell’arte è quello di addolcire il cuore, l’anima umana. Questo “ammorbidirsi” significa apertura all’empatia, e la conclusione di questo film è da cercare in sala, davanti allo schermo, non dietro di esso. Perché, nella struttura della storia, non poteva esserci nessun finale positivo.

 

Lettere da un uomo morto si rivelò un notevole successo, che incassò bene. Questo gli permise di avere un controllo assoluto sul suo film successivo, Il visitatore del museo? E questo film, che si può considerare come una delle sue opere più perfette, incontrò lo stesso successo oppure no?

Lettere di un uomo morto ha avuto un particolare successo a causa del fatto che il destino del film e si è unito ai fatti di Černobyl’. Sfortunatamente, l’arte è sempre stata percepita nel mondo nel contesto della “moda” o di qualche tendenza o di problemi più importanti di quel tempo… se l’arte “inciampa” in fatti di cronaca, si fa più importante. Non sempre è un bene per un film, perché grazie a questo la qualità artistica sfugge, e tutti cominciano a pensare alla rilevanza giornalistica e a dimenticare il fattore artistico. Non era molto positivo in questo senso. D’altra parte, grazie alla combinazione dei due [attualità e interesse artistico, NdR], ovviamente il successo del film è stato grande. Non so… in America, Pat Pernod si occupava personalmente della distribuzione del film. Gregory Peck rilasciò un’intervista sul film… in Francia, Marina Vlady… in Germania se ne occupava personalmente Wim Wenders… Il successo che ha avuto ha dell’incredibile… a Cannes ci fu il mio esordio… Naturalmente questo mi aiutò.
Ed ecco poi il mio film successivo, Il visitatore del museo. Fu l’unica volta, forse, nella mia esperienza, che potevo girare un film senza pensare al budget. Questo perché, sulla scia del successo di Lettere di un uomo morto, ho avuto molti finanziamenti, tra cui la partecipazione della seconda TV tedesca e di una società svizzera… e poi dell’Unione Sovietica ovviamente. La Commissione di Stato Sovietica per il Cinema finanziò il mio progetto. In generale, posso dire di aver potuto girare quello che volevo… È stato diretto in mezzo a migliaia di persone praticamente pazze! Era molto difficile rendere nello stile questo mondo post-apocalittico. Fu una decisione complessa, ma ovviamente di grande importanza.

lopushansky-5Il visitatore del museo.

Un film non è sempre d’aiuto ad un altro film, così purtroppo, una volta completato Il visitatore del museo, iniziò l’era del cambiamento. L’ho sentito al Festival di Mosca… Il film è stato presentato al Festival di Mosca, nel 1989. È stato un festival unico, la giuria è stata presieduta da Wajda, ed era composta anche da Kusturiča, Jiří Menzel, Zhang Yimou, Stelling. Si trattava quindi di una giuria formidabile, composta da registi famosi… fra gli altri, anche Wenders. Nonostante questo e il successo apparente, la stampa nel mio paese ha avuto un’avversione mostruosa verso questo film, per questo non lo vedo da molto tempo. Stava infatti iniziando un nuovo periodo, ed era come se questi piaceri portassero ad un’altra vita… una sorta di primo capitalismo… Ma poi arriva un cupo artista che gracchia qualcosa: “Apocalisse”, oh, che incubo! Mi resi conto che il mio genere di stile era ormai in contrasto con le tendenze del tempo, in particolare con le tendenze commerciali. E così è andata. E ciò chiaramente divise il pubblico.

lopushansky-6Il visitatore del museo.

Ma poi ci furono altre première – a Parigi e in altri festival occidentali – e i premi maggiori che ricevetti furono proprio in questi festival. Girò in tutta Europa e mi resi conto che c’era una contraddizione… Quando realizzaiSinfonia russa, fra il 1992 e il 1994, l’Unione Sovietica già non esisteva più. In generale, i finanziamenti qui nel mio paese sono sempre stati pochi; i partner stranieri facevano parte di una società francese molto piccola, dunque era molto difficile realizzare un film. E, nonostante tutto, Sinfonia Russa ricevette un premio al Festival di Berlino, nel 1995. Nel mio paese, invece, passò praticamente inosservato. Stava sorgendo una nuova censura commerciale con la quale [il film] non si adattava. Fu mostrato tre anni dopo l’uscita, sul canale Russia, a qualche ora notturna fra la domenica e il lunedì. Era un film molto complicato. Poi, il canale Arte lo trasmise un sabato sera alle 20… era in prima serata! Da questo fatto si evince che tutte queste citazioni sulla cultura russa – citazioni cariche di contenuto – erano interessanti e comprensibili a un pubblico francese, giusto? Nell’Europa non è così? [Che] poi io credo sia un film che nessuno ha compreso veramente. Be’, è andata così… Quindi, che fare? Rimasi fedele ai miei principi… ma dove mi avrebbero portato? …Anche se nella stessa Sinfonia Russa vi era molto sarcasmo, molta ironia da parte mia, molte cose critiche relative a ciò che stava accadendo nel mio paese…

 

Una delle peculiarità dei suoi film è il massiccio uso dei filtri, illuminazioni e viraggi che colorano l’immagine – rossi, ocra, gialli -: espedienti che gettano l’universo rappresentato in una dimensione onirica e straniante. Una caratteristica, questa, che a mio parere la avvicina al grande cineasta Aleksandr Sokurov – penso in particolare a I giorni dell’eclisse. Il colore, d’altronde, mi sembra che rivesta un ruolo determinante nelle sue opere, prima fra tutte Il visitatore del museo, costruito, come Russian Symphony The Ugly Swans, su varie tonalità di rosso. Da dove nasce questo suo interesse «cromatico»? E, più in generale, qual è il suo rapporto nei confronti dell’immagine cinematografica? Crede che l’immagine al cinema, per rispecchiare una realtà, debba distorcerla?

Be’, per quanto ne so, il film di Aleksander Nikolajevič Sokurov non è un film in “rosso-nero”… Ho cercato di rendere in rosso e nero Il visitatore del museo e anche The Ugly Swans. Se parliamo del precedente Lettere di un uomo morto, il colore predominante è il giallo… forse anche il nero… Mi piace molto lavorare anche con il materiale in bianco e nero. Anche Aleksander [Sokurov] lo ama, e inoltre abbiamo ancora circa un centinaio di produttori che lo amano molto, ecco [perché] ci distinguiamo difficilmente…

lopushansky-6a

lopushansky-6b

lopushansky-6cSoluzioni cromatiche molto definite nel cinema di Lopushanski. Gli esempi da Il visitatore del museo, The Ugly Swans e Lettere di un uomo morto.

Penso [che il bianco e nero] permetta una buona ricezione, ma dipende dal film… Per Il visitatore del museo va bene, ma, per esempio, per The Turn of the Century o altri film, una tale tecnica sarebbe ridicola. Il dramma impone una combinazione di colori. Penso non solo per me, ma anche per Sokurov.
Il mio film più recente, The Role, è, per così dire, nella tradizione di film in bianco e nero, senza additivi coloranti. La resa del colore nel film provoca sempre un certo interesse perché naturalmente, se c’è un colore nel film, deve avere qualche soluzione artistica nel suo utilizzo. Io preferisco usare il bianco e nero… poi io odio che questa immagine a colori molto goffa, che arriva dalla TV, sia trasferita al cinema. È stata screditata a causa della televisione. Pertanto, sempre più autori si avvicinano ai film in bianco e nero con l’utilizzo parziale del colore.

 

Tutti i suoi film sono attraversati da forti valenze simboliche e metaforiche. Come spesso accade, le opere di sci-fi, pur riferendosi ad un universo distopico, ci parlano di qualcosa di attuale. Volevo dunque chiederle: in che modo la sua visione apocalittica dell’umanità si rapporta con la Storia del suo paese? È corretto leggere, tra le righe dei suoi film, riferimenti a eventi specifici, oppure il suo intento è di rivolgersi alle sorti (e alle colpe) dell’umanità in generale?

In alcuni film, come Lettere di un uomo morto, è evidente che parli di umanità in generale, ma ancora attraverso il “prisma” del mio paese. Non ho potuto scrivere direttamente che il luogo dove si svolge l’azione è il nostro paese. La censura avrebbe insabbiato immediatamente la cosa… non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di dire questa frase fino alla fine che il film sarebbe stato immediatamente chiuso! Capite il perché, vero? In ogni caso, ho reso il film talmente artificioso che non è chiaro dove si svolga l’azione, che stia accadendo proprio lì… Se si guarda al mio paese, tutti capiscono che mi riferisco a esso. Quando si guarda all’Occidente, all’Europa, lo si comprende. Questi sono trucchi che facevamo io e gli Strugackij… loro hanno sempre scritto le loro opere in modo tale che tutti capissero che stavano parlando della Russia… l’eroe veniva chiamato in modo strano, come se fosse qui e allo stesso tempo come se non lo fosse. Questo per ribadire la continua lotta che avevamo con la censura.

lopushansky-7Lettere di un uomo morto.

C’è, ovviamente, un tema speciale per il nostro paese. Solo rappresenta la nostra Apocalisse, The Role pone il tema della rivoluzione e la terribile apocalisse della guerra civile, che periodicamente, purtroppo, si ripete… il tema della divisione sociale nel mio paese. La Russia passa spesso da un’apocalisse ad un’altra. Forse, a causa di questo – che pesa nella nostra cultura –, sull’argomento hanno scritto molti dei nostri migliori autori e poeti… e non soltanto chi scriveva, [scriveva] su questo tema. Gli anni vissuti sotto il giogo di Stalin erano anni in cui non si poteva dar voce a temi apocalittici… [essi] cominciarono ad apparire in letteratura negli anni della perestrojka, infatti da quel momento questi temi hanno avuto un aumento.
Mi ricordo un saggio che ho scritto, uno dei primi… si parla ancora del 1960, quando studiavo Una giornata di Ivan Denisovič di Solženičyn… In seguito, in meno di 5-10 anni, divenne una letteratura completamente sediziosa. All’inizio del disgelo, con Kruščëv, era ancora impensabile scrivere un saggio del genere…
Tutto ha a che fare con il paese in misura maggiore rispetto all’umanità. Purtroppo, lo ripeto ancora una volta, qui [in Russia] c’è molto materiale sull’argomento… I creatori d’arte stavano appesi come farfalle su questo abisso di brutalità incredibile e di crudeltà della guerra civile, quando il paese era stato lacerato da tutti… Un destino tragico.

 

Sia in Lettere di un uomo morto che ne Il visitatore si fa continuo riferimento all’istituzione del “museo”. In un capolavoro della vostra cinematografia, Arca russa [Russkiy kovcheg, 2002], l’intera Storia è racchiusa nei corridoi dell’Ermitage di San Pietroburgo. Crede che la «figura» del museo sia la più adatta a raccontare la Russia (di ieri e di oggi)? E perché ripone così interesse in questa particolare istituzione?

Be’, bisogna specificare che Arca russa è un film della fine degli anni ’90, mentre la sceneggiatura de Lettere di un uomo morto è stata scritta nel 1983. E il mio film è stato girato nel 1989. Quindi, cosa dire? Che io sono arrivato per primo all’idea del museo e Sokurov poi ne ha attinto… è divertente! Il fatto è che l’idea del museo è molto antica nell’arte… nel cinema forse no, ma in letteratura lo è. In vari gradi è presente ovunque, perché il museo è un’immagine collettiva, è la quintessenza del mondo dell’arte, la sublime pace della mente… ed è sempre in contrasto, purtroppo, con quella che non c’è nel mondo che ci circonda… sempre fortemente in opposizione con il meraviglioso fiore della cultura che cresce qui, in un campo insanguinato della storia del mondo. Pertanto penso che gli artisti spesso si indirizzino a questo. E non è un caso che, pensando alla cultura russa, Sokurov abbia deciso di prendere l’immagine del museo. In più, egli ha mostrato una grande abilità nelle riprese all’Ermitage, grazie ai buoni rapporti con il nostro meraviglioso direttore del museo, Piotrovskij… è stata un’occasione davvero unica!

lopushansky-8Arca russa di Sokurov.

Io mi rivolsi a questo, perché niente sarebbe più in opposizione a questa follia nucleare [descritta nel film], a questa catastrofe, di un museo, la quintessenza della cultura… che [però] si rivelò inutile. È credenza comune che l’arte di qualcuno porti cambiamento nell’arte di qualcun altro, ma come mostra la Storia, purtroppo pochissime persone cambiano… in questo c’è una tale amarezza ma allo stesso tempo, un certo senso aggiuntivo…
Il visitatore del museo si riferisce a una parafrasi della frase: il “visitatore del museo” è un uomo che è entrato in un luogo per qualcosa… voglio dire che egli è visitatore, ma anche il suo contrario… genuina fede umana… poiché da questo genere deriva il dramma religioso. Egli arriva all’ideazione degli ultimi luoghi religiosi di un santuario come visitatore del museo. Da qui l’ironia del titolo, perché in realtà ha un ruolo molto diverso. Con queste idee, che a poco a poco divennero il centro sacro dell’Europa e del Mondo, l’universo cristiano si trasformò in un museo. C’è una tendenza del tempo, di cui molto è stato scritto… Come notò anche il celebre filosofo Guénon, questa perdita dei valori tradizionali fondamentali, come nel cristianesimo, è uno dei segni apocalittici dei nostri tempi, e non porterà a nulla di nuovo… Via, ora non voglio parlare di filosofia, ma c’è sempre un collegamento diretto….

 

Tra i suoi film, Russian Symphony è probabilmente il più complesso per uno spettatore occidentale digiuno di storia russa. Eppure, il sospetto è che questa sia un’opera molto urgente nella sua filmografia, è corretto? C’è per altro un dialogo, a mio avviso, molto importante, in cui si afferma che tutti i cittadini russi, nella loro casa, conservano un libro illustrato dell’Apocalisse. Ci vuole parlare un po’ di questo film, che probabilmente è quello meno conosciuto dagli spettatori italiani?

Sì, è il più complicato. In un certo senso direi che è girato in uno stile proprio del «postmodernismo», o comunque lo è in larga misura… È permeato di citazioni di cultura russa. Tutto gioca su una parafrasi dei personaggi di Dostoevskij, da altri personaggi e da eventuali conflitti nella cultura russa… il film ammicca ad un pubblico “illuminato”. Un gioco post-ateo pregno dell’essenza della cultura russa… per non parlare di quella scena, culminante della battaglia sul campo di Novokulikovskij, dove è chiaro che si trattava proprio di quel “campo di battaglia”.
Nel contesto della nostra Storia, a mio parere, vi è un vero e proprio tradimento da parte degli intellettuali dei loro alti ideali, come è successo davanti ai miei occhi nel 1990, quando iniziò un periodo simile a quello del nostro eroe, in mezzo a “dei bambini da salvare”…
Tuttavia, in Sinfonia russa, non è chiaro: egli recita o è seriamente così? Tutto questo è paradossale… E ciò accade in ogni tempo, purtroppo. [Ma] non c’è soltanto questo, ci sono anche i paradossi legati alla cultura russa… delle storie di fantasia… Non è chiaro dov’è la verità, dov’è la menzogna e dov’è quello spirito di «sostituzione» che spesso si innesta nella fantasia di tutte queste rivoluzioni. Nella rivoluzione c’è sempre un forte spirito di sostituzione. In essa e in molte altre cose. Lo spirito di sostituzione è caratteristico delle masse…
Vi sono citazioni di alcune note tesi filosofiche… per esempio, uno monologo del protagonista inizia così: “Sì, siamo tutti usciti dal cappotto”, riferendosi alla frase di Gogol’ “ma era un soprabito”. Tutto, fino a delle canzoncine oscene… tutto è sullo stesso piano. In questa storia è penetrato un dramma profondo, purtroppo… una nuova battaglia che sembra quasi apocalittica… questa lotta con il mondo del male dove tutto è sostituzione, una sorta di performance recitata.
Le ragioni di ciò sono state molte a quel tempo… Per non parlare degli spettacoli di sangue o altro che hanno avuto luogo in quegli anni. Ora non parlerò di politica. Non una parola… Praticamente [il film] non è mai stato mostrato in Russia. Il nostro “nuovo” periodo ha annunciato la fine della censura, ma vi era qualcosa di simile comunque… per usare un eufemismo, di “vietato”. Il film non è stato proiettato in Russia. È stato trasmesso da Arte in Europa… ovunque… in molti paesi, ma non è stato mostrato in Russia… È passato a tarda notte su uno dei canali televisivi. Ed è tutto.
E sì, in esso c’è dell’attualità. In una società lacerata da conflitti, da contraddizioni per così dire, il film purtroppo risultò sgradevole a qualcuno. E per molti versi, a coloro che avevano qualche tipo di potere… Sono contento che a Berlino ottenne un premio, e in un certo senso, questo mi rendeva capace di poterlo ottenere ovunque…
Ad un certo momento ho pensato che non sarei stato in grado di farlo… Ci sono scene di massa che ho girato non senza complicazioni. Quella enorme massa nella battaglia di Novokulikovskij… con la cavalleria… con i fucili… con le uniformi di tutti gli eroi russi [di ogni] tempo. Dio sa che cosa è successo!
C’è un gruppo di persone sedute intorno, e poi si scopre che è tutto uno spettacolo: nessuna battaglia, proprio nessuna…

lopushansky-9aSinfonia russa.

Nonostante il fatto che il denaro nel mio paese non ci fosse, mi imbattei nei grandi spettacoli che ricreano la storia militare. Così sul campo di Borodino fu ricreata la battaglia omonima. I treni trasportavano la cavalleria, il pubblico arrivava a migliaia. C’era stata una processione sulla Neva: è stato un evento importante. Avevamo posto la macchina da presa per un documentario. Decidemmo così di catturare questo grande evento: ci avevano dato il permesso. E all’interno di questa situazione avevamo messo dei nostri attori. Anche loro erano mascherati con la stessa cura degli altri. Perché, come potete immaginare, i cosacchi a cavallo tra la folla erano in armatura completa. È stato possibile mettere tutto – la confusione, il treno.. – tutto è in questo film. Incredibile! Il treno con i cosacchi e gli altri che andavano alla battaglia di Novokulikovkij….

lopushansky-10Sinfonia russa.

Il treno era fermo sul terrapieno Sinopskij, vicino al centro di San Pietroburgo. Abbiamo condotto quel treno noi, e c’era anche il nostro carico con le nostre comparse. A tarda notte, non molto sobri naturalmente, andammo per la città notturna, seguiti dal nostro personaggio che correva… C’era una donna che indossava una camicia con una bandiera rossa…
La sparatoria più interessante ha avuto luogo nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1993. Ebbe inizio nei pressi del Parlamento a Mosca. Così, tutte le forze di polizia che erano ancora in città giunsero alla sparatoria credendo che fosse un altro gruppo pronto per andare all’assalto di Mosca, per sostenere i loro.
In questo senso, è certamente un film unico. C’è stata l’occasione per imparare molto e noi in qualche modo ci siamo riusciti. Apprezzo molto questo film.

 

In Russian Symphony, così come in in gran parte della sua filmografia, si fa esplicitamente riferimento alla letteratura russa e, in particolare, a Fedor Dostoevskij. D’altronde, molti dei suoi protagonisti sono personaggi “scissi”, doppi, pieni di contraddizioni e di conflitti interiori – pensiamo a The Role, o, nuovamente, a Russian Symphony. Immagino che la letteratura abbia avuto una grande importanza nella sua opera, soprattutto dagli anni Novanta in poi, è corretto? Cosa può dirci a tal proposito?

Posso parlarvi di questo molto brevemente. Tutti pensano che la tendenza «letteraturocentrica» sia caratteristica della cultura e dello stile di vita russo. Quest’immaginario letterario ha un enorme impatto sulla vita delle persone e nella comprensione dei problemi, come se fosse la prova di qualche vita passata. Bene, vi posso dire che [questa] è una caratteristica della psicologia… e forse non solo in Russia – anche se sono stato in molti altri paesi, ed è qualche cosa che non ho notato.
Diciamo che, quando ho concluso Lettere di un uomo morto, avevo un enorme numero di incontri con il pubblico, e questo sì, l’ho notato. Ero un regista molto giovane, e a me, giovane uomo, dal pubblico alzarono la mano e chiesero: “Konstantin Sergeevič, dicci, ma com’è la vita?” Hanno pensato che io fossi lì come una sorta di guida spirituale: il Mahatma Gandhi che può spiegare loro come bisogna vivere. E non è un caso. Si tratta di una tradizione partita da Lev Tolstoj. Egli si chiedeva come si dovesse vivere ed è stato un maestro spirituale. Anche Dostoevskij è stato un maestro spirituale, ma io non posso essere paragonato a loro… Tarkovskij lo era, ai miei occhi. Insieme ad Aleksander Sokurov, lo abbiamo aiutato a tenere incontri con il pubblico. Chiedevano: “Andrej Arsen’evič, dimmi come si deve vivere?” …l’artista è una guida spirituale! Questa era la tendenza…
È stato così per molti anni e per molte ragioni. Poi iniziò a sparire quest’idea con l’inizio del 1990 e con il proliferare del cinema commerciale. Divenne ridicolo chiedere come vivere. Inoltre, i tempi erano cambiati… Negli anni della censura, l’artista era per tutti il centro della vita spirituale… queste figure spiegavano cose relative alla vita. Perché la Chiesa, in quanto tale, non poteva esprimersi… si trattava di qualcosa di cui non potevano parlare. Ma l’artista, nella sua opera, qualcosa poteva esprimere. Quindi sì, c’era questa tendenza in generale, e com’è ora, non saprei…. È difficile parlare di questo, perché ora c’è un atteggiamento molto diverso nei confronti dell’arte da parte della gente. L’arte ha perso di valore. I suoi insegnamenti spirituali, il suo stile, la sua qualità e il significato. Ma influenza ancora alcune persone… In riferimento a questi film, naturalmente sono letteraturocentrici, credo.

 

Volevo parlare ora di The Turn of the Century. Nel film, Olga e sua madre rappresentano, in qualche modo, due momenti della Storia russa. La madre, per lasciarsi il passato alle spalle, viene portata in una immaginaria clinica – The Istitute of Conscious Dreams – dove i pazienti sono “indotti” a dimenticare. I ricordi, rappresentati da fotografie, sono dati alle fiamme. Che ruolo ricopre dunque, secondo lei, il ricordo in riferimento alla Russia contemporanea? E dove si colloca il ruolo del cinema in tutto questo?

Be’, in primo luogo, devo dire che tutto questo non è inventato… parlo di quelle cliniche… [di quei sistemi]… alcuni addirittura li chiamano “sogno cosciente”. C’è un metodo in psicologia: la psicoanalisi. Per sbarazzarsi di alcuni fatti del passato esiste una determinata tecnica. Mi preparai molto seriamente per questo lavoro. Ho letto molti testi [a riguardo], primo fra tutti, Stanislav Grof [Importante psichiatra ceco, NdR.]… mi è piaciuto molto come psicologo e psicoanalista. Devo dire che non sono il solo interessato a questo, ma anche molti altri registi (uno di questi ruoli – l’analista capo del film – è stato messo in scena dal nostro più famoso e meraviglioso regista teatrale, Roman Viktjuk.) Roman Grigor’evič era venuto alle nostre riprese. Avevo deciso di preparare una conversazione: presi un paio di libri di Stanislav Grof e andai ad incontrarlo nel corridoio con questi libri. Li vide da lontano e disse: “Kostja, non sono necessari questi libri, li conoscono a memoria”. Perché, per una persona che lavora come regista e che è anche una persona seria, la comprensione della psicologia è una parte obbligatoria… a maggior ragione, con tali opere. Non sto parlando di Freud e Jung, ma di qualcosa di più vicino a noi, come appunto Stanislav Grof. Pertanto, è stato molto interessante scoprire come questo mondo esamini l’anima con il suo sguardo psicologico e psicanalitico.
Ma la cosa principale, in questa storia, è la discordia, il conflitto orrendo, che era davanti ai miei occhi negli anni ’90. Madre e figlia [in Turn of the Century] si trovavano su poli opposti della società… è quel conflitto che portò alla terribile collisione del 1993, a Mosca. Perché da una parte, quello che vedevo erano ragazzi giovani che allora erano nella polizia o in altre truppe. Dall’altra parte, nella folla – che era loro opposta –, c’erano un sacco di persone anziane. Il contrasto di età mi fece una terribile impressione, perché in linea di principio c’era qualcosa di innaturale…

lopushansky-11The Turn of the Century.

Mi sembrava che in questo ci fosse l’essenza di questa epoca… entrambi avevano dimenticato un certo senso di compassione, di comprensione che avrebbe ricordato loro che erano parenti… Sono figli e padri, sono madri e figlie… e questa storia, di una madre e di una figlia, era davvero molto importante. Intendo dire che la figlia vuole il meglio per sua madre, e, rendendosi conto che lei non faceva parte di questa nuova era, la porta alla clinica, in modo tale che dimentichi il proprio passato. È una donna abbastanza intelligente, la madre, ma anche cresciuta in quell’intervallo di tempo [particolare]. La figlia invece, era completamente immersa in questa nuova era. Partì, andò a vivere in Germania… era già immersa in altre tendenze del mondo… lei era già un’europea… In generale, per lei tutto era così lontano da lì. Ma in quel momento si ricordò dell’anno 1993… ed è qui che vi è un tema importante… perché la figlia porta al collo una catena con una pallottola legata… è un proiettile che è stato sparato durante quegli eventi, perché era una giornalista. Grazie a Dio, il colpo arrivò alla camera e non a lei. Conservò [però] la pallottola.
Questo la dice lunga su come la madre trattiene la memoria in sé, perché l’uomo che amava fu ucciso durante questi eventi. Naturalmente, questo le causò dei disturbi. Intorno a questo nucleo familiare a due, così intimo, fu costruita una storia legata a questi fatti storici sanguinolenti. Alla fin fine, non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo esiste una storia del genere, in cui, come scrisse Goethe, una crepa attraversa il cuore del poeta, dell’eroe… e questo è esattamente il caso… una crepa si è insinuata attraverso questi destini… per queste ragioni mi interessa.

lopushansky-12The Turn of the Century,

Sì, la fine del secolo… La fine del millennio è sempre un momento speciale, è sempre una sorta di rivalutazione… il cambiamento di un’epoca… è vero. Naturalmente mi era familiare la generazione della madre: sono stati così anche i miei genitori… purtroppo ora non sono più vivi. Si tratta di uno scontro generazionale, ma nella scena finale l’eroina si rende conto che è un tempo diverso e si tira fuori da questo mondo, da questa vita, in silenzio, tranquillamente, dicendole addio… conservando la propria dignità… resta fedele al suo mondo, il mondo in cui si trovava. Questo è il mondo che svanisce…
Di questa tragedia, per così dire, parlò molto bene Maja Pliseckaja [È possibile che qui Lopushansky si riferisca alla celebre ballerina russa. NdR.]… Un mio amico in Germania, uno scrittore e musicista, Simon Guravi, ha realizzato questo libro di dialoghi con Maja Pliseckaja. Erano amici. È uscito recentemente, l’anno scorso. Mi è piaciuta molto la frase che le disse: “Sai, viviamo in un periodo strano.”

 

The Ugly Swans è tratto dal romanzo di Arkady e Boris Strugatsky, censurato negli anni Sessanta in Russia. Perché la sua scelta è ricaduta proprio su questo romanzo “maledetto”? Inoltre il film, pur essendo uno dei rari casi di adattamenti nella sua filmografia, mi sembra assolutamente personale… è stato complesso rapportarsi con il testo originale?

È stato difficile, naturalmente. Il fatto è

http://specchioscuro.it/intervista-lopushansky/

 

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